LE FAVOLE DEL BISNONNO un libro di favole

Favole  del paginario 2009

La favola senza favola 
C’era una volta un uomo che diceva di essere giusto perché non aveva fatto mai un peccato.
Quando morì si trovò davanti al Giudice eterno e si risentì offeso di essere trascinato in tribunale.
Gli disse il Signore: "Nessuno ti accusa come se avessi fatto qualcosa di male, però dimmi anche cosa hai fatto di bene".
Come poi andò a finire, la favola non lo dice, perché il giudizio eterno, non è una favola.

La favola del progresso 
C’era una volta in un paese senza nome un uomo così intelligente che non ne esistevano altri come lui. Così, una volta, pensò: "Se sono il più intelligente devo impedire che un altro faccia l’errore di credersi più intelligente di me". 
Dopo un po’, riuscì a tradurre in pratica i suoi propositi, al punto che quando parlava non c’era nessuno che osasse, neanche lontanamente, chiedere qualche spiegazione per paura che potesse sembrare una critica, benché minima, al suo discorso.
Ecco perché in quel mondo c’è tanta intelligenza, purtroppo manca qualcuno che si voglia assumersi l’impegno di capirla e di migliorarla!

L’arte di ammirare 
C’era una volta un famoso scultore che usava i materiali più diversi per il suo lavoro: con il metallo fondeva i bronzi, con il legno intagliava le figure e con il marmo scolpiva le statue.
Venne a visitarlo un operaio della fonderia che s’interessò subito degli stampi per la fusione. 
Venne un falegname e raccolse i trucioli per alimentare il fuoco a casa sua. 
Venne un muratore e prese i frantumi di marmo per cementarli insieme a fare un pavimento. 
Venne anche un intenditore d’opere d’arte che si fermò ad ammirare le creazioni dell’artista.
Alla fine venne anche un ragazzotto spensierato, che perse invece anche i pensieri che non aveva, incantato dalle sculture e attento al lavoro di chi le aveva create. 
Con l’ultimo venuto il maestro si fermò volentieri a parlare e se lo tenne poi in bottega per insegnarli i segreti del mestiere.
Perché se l’arte di un maestro è preziosa, chi sa apprezzare e riconoscere l’artista che l’ha fatta, possiede un’altra arte in più che supera ogni paragone.



Le fragole e le mele 
C’erano una volta, in un paese che non so nemmeno dove sia, due contadini che vivevano dei frutti del loro campo. 
Uno dei due coltivava le fragole per non dover far la fatica di salire sulle piante a raccogliere la frutta e l’altro invece coltivava le mele per non far la fatica di raccogliere la frutta chinandosi sulla terra.
Non appena spuntava la bella stagione compariva il rosso delle fragole a punteggiare il verde tenero delle pianticelle appena nate. In questo modo, uno dei due contadini aveva subito da mangiare in grande quantità, tanto che non poteva godere, come avrebbe voluto, di tutta la ricchezza che aveva a disposizione. 
L’altro contadino intanto aspettava ancora, ma sul finir della calura comparivano sugli alberi le mele e, anche lui, poteva raccogliere finalmente i frutti, purtroppo non tutti, perché ce n’erano d’avanzo.
Così, alla fin fine, il primo contadino si dimenticava delle sue fragole e invidiava il collega per le mele e il secondo disprezzava il collega per le fragole andate a male e si vantava della pazienza d’aver aspettato le mele; ma ciascuno dei due poi, nel segreto, si arrabbiava a morte perché non aveva ancora trovato il modo di rubare la frutta del vicino se non poteva addirittura impossessarsi dei suoi campi.
Perché, così stavano le cose in quel paese dove due contadini, al posto di scambiarsi la propria abbondanza, sopportavano il peso della loro povertà, pur di non incorrere nel rischio d’essere generosi.

Due ministri per un re 
Cera una volta un re che cercava un ministro per il suo governo.
Si presentarono due candidati.
Il primo esitante e modesto, perché non era sicuro d’esserne degno, il secondo altezzoso e sicuro di sé. Il primo che si offriva se ce n’era bisogno, il secondo che prima di tutto chiedeva a quanto sarebbero ammontati i privilegi e il compenso di una eventuale nomina.
Così alle volte ci presentiamo al Signore per chiedere che ci paghi prima ancora d’averlo servito, o invece che ci aiuti a render lieve il lavoro che noi vogliamo fare per lui.

La frutta del fruttivendolo 
C’era una volta un fruttivendolo che vendeva della bella frutta, che più bella e più buona non se ne poteva immaginare.
Venne la vicina di casa che ammirò la frutta ma ne aveva già comprata il giorno prima e non era riuscita a finirla del tutto.
Venne un viandante che si trovava lì per caso, che di frutta però ne aveva pieno il sacco sulle spalle.
Venne il dottore del paese che non comperò la frutta per non fare indigestione.
Venne persino il re che si congratulò con il venditore per come aveva scelto ed esposto la sua merce e che gli assegnò un’onorificenza in riconoscimento del suo lavoro, ma che non comperò la frutta perché nei giardini della reggia ce n’aveva tanta da buttare.
Alla fine venne un poveretto che non si sarebbe aspettato mai di vedere tanta roba così bella e così buona, ma che non aveva i soldi per comperarla e che, tuttavia, non se ne andava via per mangiare la frutta anche solamente con gli occhi.
Alla fine, quel venditore, perché era senza clienti, gli diede un poco di quella frutta che era rimasta, per non buttarla via ma, al vedere come quel poveretto la mangiava con gusto e con soddisfazione, solo allora capì finalmente il valore della sua merce. 
Perché questa è la morale della favola: che il vero valore di ogni cosa consiste nell’essere buona, ma che è buona solamente quando diventa amore!

Un uomo per strada 
C’era una volta un uomo per strada e, alla fine, si trovò lontano da casa sua, in un paese che non conosceva, senza essere conosciuto da qualcuno.

Per non restare senza compagni, entrò in un’osteria dove c’era tanta gente che beveva e che fumava, ma perché non sopportava l’odore del fumo ritornò sui suoi passi e si trovò di nuovo solo sulla strada. 
Allora si mise in cerca di qualcun altro e, senza nemmeno accorgersene, si trovò in mezzo a tanta gente che stava entrando in una fabbrica. Ognuno pensava ai fatti suoi e cercava di sbrigare in fretta il suo lavoro per ritornarsene poi finalmente a casa e nessuno guardava il nuovo arrivato, che sembrava messo lì, solo per dare fastidio. 
Uscì in fretta da quel luogo pieno di rumori assordanti, di macchine senza posa, di gente affaticata ma, non sapendo cosa fare, entrò in un negozio che sembrava accogliente: il padrone, quando lo vide come uno che poteva avere il borsellino vuoto, lo buttò fuori senza troppi riguardi. 
Alla fine, che gli pareva di averle tentate tutte, non sapendo più a che santo rivolgersi, entrò in una chiesa piena di gente incantata ad ascoltare un concerto musicale ma perché, aprendo, il portone aveva fatto rumore, un chierichetto vestito con i paramenti sacri, gli indicò l’uscita con cipiglio severo.
Alla fine di tutte le fini, si trovò di nuovo solo sulla strada, senza compagni, senza sorriso e con una faccia da far pietà, tanto che, senza accorgersi di parlare al vento, sbottò con un: "Ma come si può vivere in un mondo così brutto!". "È vero!", disse una vecchina malandata che era lì in un angolo buio senza farsi notare. "È vero!", ripeté, "Perché in questo mondo manca l’Amore!". 
E, quel poveruomo di rimando:"Ma, allora, l’amore dov’è?". 
Rispose la vecchina: "Nel tuo cuore!".

Un mestolo sul fuoco 
C’era una volta un mestolo che faceva bene il suo lavoro, ma che si lamentava continuamente di rischiare qualche scottatura, messo così senza attenzione tra pentole e coperchi che bollivano sul fuoco.
"Ma cosa vuoi?", gli dicevano le scodelle.
"Ma perché ti lamenti?", ribattevano i piatti.
"Perché io voglio servirvi a dovere e riempirvi con una buona minestra calda, ma il cuoco invece mi adopera solo per rimestare quel che ha preparato, senza attenzione e senza prudenza".
"Che vuoi?", risposero i piatti e le scodelle, "bisogna aver pazienza! 
Ma a sapere i rischi che incontri, ti siamo ancora più riconoscenti".
Ecco, perché il mestolo ora non si lamenta di finir sul fuoco, infatti, sa che è necessario per accontentare i suoi amici: scodelle e piatti, che lo aspettano contenti per poterlo ringraziare.
Così la favola e anche così stanno le cose a questo mondo che il lavoro alle volte non è pagato, mentre l’aiuto e il servizio è quel bene che crea gli amici e che è sempre onorato.

Il selvaggio e la foresta 

C’era una volta un selvaggio davanti a una foresta vergine che gridava desolato: "Ma come si fa ad andare avanti da qui non si passa!". E, quella volta, venne un altro uomo di un paese lontano che si fermò incantato davanti alla stessa foresta e esclamò estasiato: "Ma com’è bella! E quanto legno prezioso che si può usare, e quanti fiori diversi, quanti frutti gustosi...". 
Perché così stanno le cose nel nostro mondo, che alcuni vedono le difficoltà che il bene richiede, e altri che vedono il bene che le difficoltà promettono.

La favola dei colori 

C’erano una volta due colori che s’incontrarono nel panorama di questo mondo e l’uno diceva all’altro: "Come sei scialbo!". E l’altro rispondeva: "Tu sei scialbo, io sono brillante!"; così al posto di colorare la natura litigavano a colorare sé stessi come se l’uno fosse meglio dell’altro.
Ecco, perché il nostro mondo è sbiadito e opaco: non perché mancano i colori, ma perché mancano l’uno nei riguardi dell’altro.

Il sole dei colori 
C’erano una volta in questo mondo tanti colori che si trovarono per fare una bella brigata e divertirsi insieme, ma perché uno era scuro e l’altro chiaro e, ancora, uno acceso e uno sfuocato e, perché insomma, erano tutti diversi, cominciarono a discutere e finirono con il litigare e, così, finì anche la loro festa.

D’altra parte, al pensare di rimanere soli pativano la malinconia, ma se, al contrario, pensavano di conquistare il predominio, allora ognuno nutriva in segreto la ribellione. Insomma vivevano con una faccia smorta e s’incontravano per pura necessità, senza sorriso e solo per convenienza. 
Finalmente, un giorno splendette nell’alba d’un nuovo mattino un sole sfolgorante sulla terra e improvvisamente i colori si accorsero ciascuno della ricchezza e della bellezza del quadro che componevano insieme. 
Perché in quel mondo solamente il Sole poteva ravvivare i colori e donare alla terra i riflessi del cielo. Egli ritorna sempre il mattino dopo ogni notte buia per accendere le speranze di un giorno radioso e annunciare un tempo senza oscurità.

Un Gulliver rinato
C’era una volta un Gulliver rinato che fece naufragio in un mondo sconosciuto, del tutto diverso da quello dove noi viviamo. 
Il re che governava quel paese, per essere sicuro della propria importanza, aveva un esercito di funzionari alle sue dirette dipendenze che erano impegnati a mettere nei pasticci i sudditi del regno, in modo che incorressero nei più diversi e nei più impensabili sbagli, così egli, seduto sul suo trono, li poteva giudicare, redarguire, condannare, e mettere in ordine sotto il suo indiscusso potere, a rischio magari di finire per sempre in prigione.
In questo modo, non esisteva un re più onorato, perché temuto e non esistevano ministri più fidati, perché imbroglioni che non volevano rischiare di far la fine dei sudditi imbrogliati.
Quel povero naufrago, proprio perché veniva da un mondo del tutto diverso, si accorse subito dei servi impostori e dei sudditi oppressi dagli imbrogli, tanto che andava in giro a dirlo a tutti e a protestare ad alta voce in pubblico e in privato. 
Basta! La cosa venne subito a conoscenza del re che non perse tempo a cercare quel dissidente che non obbediva al suo potere e che ormai si sentiva tallonato un po’ dovunque.  
Fortunatamente, quando ormai gli pareva di non aver più scampo, lo soccorse una bambina che gli regalò la sua barchetta di cartapesta perché potesse affrontare la fuga in un altro mare, in cerca di un nuovo regno. 
Ebbene, guardate che questa è proprio una favola, perché nessun cittadino ai giorni nostri imbroglia o si lascia imbrogliare, ma tutti  non perdono mai ordine e direttive, infatti, obbediscono solamente e sempre a quell’unico Re che vive in quella reggia che egli stesso ha costruito nel cuore d’ogni uomo. 



Favole del paginario 2010


Gli uccellini e i semi 
C'erano una volta gli uccellini che mangiavano i semi che il contadino aveva gettato nei solchi del campo appena arato.


E, quella volta c'era anche il contadino che disse tra sé e sé: "So io cosa fare!". 
Preparò così, dei semi più belli, che a prima vista sembravano più buoni che, però, erano avvelenati. Gli uccelli, quando li videro, restarono affascinati, ma non fidandosi dell'apparenza artificiale, continuarono a rubare i semi sparsi nel vecchio campo arato a loro più familiare. 
Allora il contadino mise in mostra dei semi ancor più belli e ancor più avvelenati, ma perché gli uccelli di nuovo non caddero nel tranello, pensò di non seminare più i suoi campi, in modo che gli uccelli, rimasti senza cibo morissero di fame.
Ecco, così è il mondo di quel contadino con i campi non seminati e gli uccelli affamati: un mondo triste e brutto dove tutto tace e dove si muore d’inedia e di fame pur d’impedire agli uccelli di cantare. 


Il treppiedi della libertà 
C'era una volta un cane che mangiava quello che cadeva dalla mensa del suo padrone e quella volta c'era un uomo che mangiava seduto a pranzo davanti a una tavola imbandita.
Ebbene, la sedia di quell'uomo era un semplice treppiedi che aveva tre gambe ciascuna con un proprio nome: ragione, natura e volontà.


Sono il più grande! 
C'era una volta un bambino piccolo che non arrivava alla tavola per mangiare, allora la mamma lo mise sopra uno sgabello più alto di una seggiola comune ed egli diceva a tutti: "Sono il più grande". Quella volta c'era anche suo fratellino ancor più piccolo di lui e la mamma lo mise sopra un seggiolone ed egli diceva a tutti: "Sono il più grande". 
Così i due bambini ben presto si dissero l'un l'altro: "Sono il più grande e gli altri sono tutti più piccoli!" e non si accorgevano nemmeno che potevano mangiare il loro pranzo solo perché la mamma lo aveva cucinato e solo perché il papà aveva preparato il seggiolone e lo sgabello.


Nessuno più grande di me! 
C'era una volta un bambino piccolo... e, anche se questa è una favola che comincia come quella di prima, non è la stessa, ma è nuova.
Allora, c'era una volta un bambino piccolo che non arrivava con il naso all'altezza della tavola e la mamma se lo prese in braccio ed egli mentre mangiava poteva farfugliare: "Sono il più grande!". Appena crebbe un poco, la mamma lo rimise in terra, ma ancora era troppo piccolo per arrivare dove doveva e il papà gli comperò un seggiolone, così il bambino poteva affermare ancora: "Sono il più grande!". 
Dopo poco tempo si assise su una vera seggiola perché potesse ripetere a tutti la sua cantilena. Poi continuò a salire seduto in cattedra e anche lì non si annoiava a ripetere le stesse parole. Infine, riuscì ad arrivare così in alto che meritò di assidersi su un trono. 
Ecco adesso è vecchio, si è incurvato, si è accartocciato e si è rimpicciolito. Ora l'hanno sdraiato su un letto, tra poco lo metteranno in una bara, ma a questo punto nessuno lo sente dire ancora come una volta: "Sono il più grande!".


Due bivi e quattro strade 
C'era una volta un bravuomo che voleva abitare in paradiso. Avvisò i parenti, si accomiatò dagli amici e s'incamminò per arrivare in cielo.
Fatti pochi passi si trovò davanti ad un bivio dove lo aspettava il Diavolo in persona per additargli quale delle due strade doveva prendere: una larga piacevole e attraente, l'altra aspra faticosa e in salita, ma quell'uomo non si lasciò ingannare.
Fatti ancora pochi passi si trovò davanti un altro bivio e qui lo attendeva l'angelo del Signore. Quell'uomo tutto felice vedeva ormai vicina la sua meta, ma l'angelo gli tolse ogni illusione: per arrivare in cielo doveva scrollarsi di dosso tutto quello che era terra, – oppure, forse voi credevate che nel palazzo del re si può entrare con le scarpe sporche?
Così è il destino dell'uomo che, per dimostrarsi degno del meglio, deve abbandonare almeno il peggio.


Il figlio del re 
C'era una volta, non so nemmeno in quale paese, un poliziotto di ronda nel suo quartiere, che fermò un bravo cittadino per chiedergli i documenti. Con i documenti in mano si accorse sbalordito di aver incontrato, senza saperlo, nientemeno che il figlio del re.
C'era un'altra volta nel nostro paese ancora un altra persona e, questa volta ero io, che incontrai uno sconosciuto per chiedergli non so che cosa e non mi accorsi nemmeno che era il figlio del Re dei re e che io stesso ero suo fratello...
Perché così vanno le cose a questo mondo, ma quando lessi questa favola a qualcuno mi disse che forse nemmeno il figlio del Re sapeva chi egli fosse veramente. "È vero, risposi ma, se l'avessi trattato come avrei dovuto, se ne sarebbe certamente accorto!".


Un angolo pulito 
C'era una volta, tanto tempo fa, un uomo che voleva vivere nel pulito e cercava qua e là in casa un angolo che non fosse sporco. Alla fin fine, perché non lo trovava si accontentò di vivere ancora nello sporco abituale e, anche in quello nuovo, che egli accumulava con il passar dei giorni.
Ebbene, tutto questo perché, quella volta, egli non sapeva che il pulito non si trova dove c'è, ma c'è solamente là dove splende, perché lo si è fatto prima con il ranno e il sapone enon senza un poco di fatica.


I due computer 
C'era una volta un brav'uomo che aveva due computer: uno era vecchio e alle volte non voleva o non riusciva a lavorare e l'altro era nuovo e alle volte gli creava dei problemi. 
Così è la vita di ogni uomo che si dibatte tra qualche delusione e qualche problema, perché senza delusioni e senza problemi non c'è vita.


Le molte piante d'una foresta 
C'erano una volta tanti esploratori che arrivarono da molte parti diverse e nemmeno sulle medesime strade, ognuno all'insaputa dll'altro, ai margini di una enorme foresta come potrebbe essere quella dell'Amazzonia in Brasile. 




Ognuno di loro rimase incantato a vedere tante piante, tanti fiori, tanti frutti, ma ciascuno ne vedeva una parte e nessuno uguale a quella vista dall'altro, perché non potevano nemmeno entrare nella boscaglia tanto era fitta e lussureggiante.
Quando ritornarono in patria ciascuno di loro radunò i sapienti e gli studiosi e pubblicò numerose relazioni scientifiche per esporre le scoperte che aveva fatto, ma ciascuna delle loro asserzioni non corrispondeva con quella del collega che aveva visto un altro lato della foresta e tra loro c'era anche chi metteva perfino in dubbio l’ esistenza della foresta stessa, perché aveva concentrato tutta la sua attenzione solamente sui singoli alberi che aveva incontrato.
Così i filosi, al giorno d'oggi, anche quelli che negano l'esistenza di Dio, parlano di lui come fosse solamente un singolo aspetto di un argomento eccelso, che non si potrà mai capire se non ci si mette tutti insieme a considerarlo e che non si può nemmeno immaginare in parte, se non lo si contempla nella sua unità.


Una volta si, oppure no 
C'era una volta in un paese d'altri tempi e d'altri mondi un tale che camminava storto e qualche volte barcollava miseramente, eppure che amava Dio e il suo prossimo, malgrado le pene di una malattia che gli rendeva difficile lo stare in piedi. 
Un po' tutti gli volevano bene, perché dicevano che era un ubriacone. 
Ebbene, che amasse Iddio e il prossimo era vero, che fosse un beone era invece una scusa per quelli che di ‹amore› non ne vogliono nemmeno sentir parlare se non sogghignando sotto i baffi; così, un po' per abitudine e, sopratutto, per comodità, nessuno si azzardava ad ammettere che quelle accuse, invece d'esser scuse erano bugie senza scuse.
Era quello un mondo da noi tanto lontano che, senza una favola, non lo si potrebbe nemmeno immaginare, ma che con una favola anche se si può capire, non lo si potrà mai approvare.